mercoledì 27 settembre 2023

non vedo, non sento e non parlo

no, il cazzo, è: non vedo il male, non sento il male e non parlo del male. avevo senz'altro equivocato solo io, ma quello che pensavo fosse un invito a farsi gli affari propri è invece un monito a farsi gli affari giusti. A Nikko, sull'architrave di un tempio dedicato se non mi sbaglio agli animali, c'è l'intaglio famoso, quello iconico, che rappresenta la massima buddhista che dice, dunque, di astenersi dal male: vederlo, sentirlo, parlarne. ne conseguirà in via logica che quindi il male non si fa e, se ho capito qualcosa delle filosofie orientali, l'esercizio di non vederlo, non sentirlo e non parlarne dovrebbe condurre a non pensarlo. che bella libertà. 
le tre scimmiette mi son state sempre un po' antipatiche - le scimmie in generale, eh, bestie simili agli umani che oltre a essere vagamente malvagie non sanno nemmeno parlare, mi paiono un altro chiaro caso di errore commesso dal padreterno - ma ora le rivaluto, grazie a questo giro a Nikko, in un giorno che mi ricordo con un cielo pesante e cupo ma senz'acqua fino alla fine. Nikko è a nord di Tokyo, in una zona piena di boschi, ci si arriva in treno e il paese è una serie di case basse che costeggia la strada per arrivare all'area dei templi. è anche lei patrimonio Unesco come Koyasan, ma per quel che riguarda me molto molto meno suggestiva. il decoro è molto barocco e purtroppo l'accessibilità abbastanza così semplice la riempie di turisti, molti dei quali sono giapponesi però sempre turisti sono, non monaci o devoti e quindi hanno scarpe colorate, zainetti, e qui, incredibile visu, addirittura macchine fotografiche. insomma un casino colorato.
perfino nel tempio dove un monaco battendo due pietre ci fa sentire il ruggito del drago (quello, molto bello, un momento di oooooooh!meraviglia) ci sono tantissime persone e il misticismo si perde.
il santuario shinto invece un po' si salva, è oltre un viale e al suo ingresso ci sono le campanelle di bronzo che suonano al vento, lì peschiamo il terzo biglietto della fortuna del viaggio, l'ultimo, e questo, finalmente, è di buona fortuna. 

lunedì 25 settembre 2023

una mattina siamo andati a kamakura

c'è un grande buddha di bronzo, seduto in contemplazione, è tanto grande che ci si può entrare dentro, ma a noi non ci hanno fatto entrare, quel giorno era troppo caldo, chissà se le pareti erano bollenti, mi sarebbe piaciuto toccarle o saperlo, ma la giappina che fa i biglietti non parla inglese e fa solo gesti con le mani. questo non è un buddha risolto, non solo non è indiano e quindi è meno paciarotto e molto più serio, ma ha pure l'espressione di uno che ci sta pensando, non gli torna del tutto, si sforza di distaccarsi, ma ancora non ci siamo, il samadhi è di là da venire. si impegna, pare, si sforza, si vede, ma l'illuminazione non arriva. o forse: manca sale in questa pasta. (massì facciamoci fulminare anche da divinità esotiche, perchè limitarsi al vecchio dio barbuto).
la cittadina è sul mare e ha una bell'aria rilassata, una spiaggia famosa per le onde e baracchini che affittano surf. sicché andiamo a vederlo questo mare, questo mare che poi è l'oceano pacifico. 
è la prima volta che vedo il pacifico coi miei occhi, e mi piacerebbe mettere i piedi nell'acqua o toccare in qualche modo questo totem geografico. ma non ho coraggio, non sono sola e mi pare che l'altra persona non gradisca, non solo per sé ma anche per me. mi pare che lo trovi un desiderio un po' scemo e troppo complicato da realizzare. io mi vergogno un po' e non mi impongo, in definitiva mi pare effettivamente un po' complicato e mi spiace costringere qualcuno a uno sforzo, l'accesso al mare è una scogliera, piatta e comoda ma non c'è modo di passeggiare nell'acqua, dovremmo cercare un altro punto per farlo, ed è caldo e insomma. e insomma, mi accontento, faccio un po' finta di niente, mi siedo e sento il vento addosso. in definitiva si sta bene, all'orizzonte strane nuvole che si alzano dall'acqua in verticale tipo torrette, il sole mi scalda, il vento tira e non si può parlare più di tanto. una bella pace. poi però, succede, e prendiamo le cose come sono o come segni a scelta, succede che il vento tira, e si avvicina un'onda, si avvicina e si infrange sullo scoglio, si infrange sullo scoglio forte e verso il cielo sale la schiuma bianca, un secondo di cielo blu e puntini bianchi, hokusai non sei nessuno, capisco lì che l'oceano oggi mi bagna lui e che non serve coraggio ma basta desiderio.  

tokyo è grandissima

ogni quartiere ha una sua specializzazione e un suo carattere. ci passo in mezzo avvertendoli e basta. poi siamo tornati.

lunedì 18 settembre 2023

mi chiedevo se andare a correre

ma piove, e non c'è bisogno di prendere decisioni. il giorno in cui arriviamo a kyoto sta per arrivare un tifone, mi sembra che fosse sera, forse non pioveva nemmeno ma era scuro e umido come sempre in quei giorni. c'erano delle gabbie gialle intorno ai pali della luce, immagino fossero lì per il tifone ma non lo so e non lo chiesi. il tempo continua a perseguitarmi in questo viaggio, come se ci fosse un malocchio in corso. in altri tempi avrei detto ubris, il che avrebbe comportato una precisa colpa a mio carico, ora non lo dico, così la colpa mi pare meno precisa.
siamo in un punto della città non centrale, e non mi pare nè bella nè brutta, molto anonima, i templi, intorno alla città saranno belli da vedere, molto belli, e pieni di pace, ma quanto alla città non so che dire, grande ma non metropoli, funzionante ma non curata. le parti pittoresche non veramente pittoresche. ci sarebbe voluto un altro umore, per divertirsi con quello che ci mette sotto al naso, per cercare quello che mi sfugge. i quartieri di pontocho e gion li vediamo pochissimo, sono pienissimi di turisti e di ristoranti cari, dove non mi fa mai voglia di andare, specialmente così. sono occasioni che possono andare storte, e qui va tutto storto, non insistiamo. alla fine il tifone passa, è una giornata di pioggia, tutti sono invitati a muoversi solo se necessario, noi facciamo un giro non so perchè. non mi sarei mossa dal letto in un altro momento. credo si chiami ansia da prestazione quella che mi fa alzare dal letto.
oh, ha smesso di piovere.

giovedì 14 settembre 2023

ho desiderato moltissimo andare sul monte koya,

e ho desiderato moltissimo arrivarci la sera della festa dei morti. per la cultura giapponese, come per molte altre, quella notte i morti tornano tra i vivi, si accendono candele e fuochi per indicare la strada a chi torna e si aspettano per stare insieme. qui sul koyasan vengono accese nell'enorme e antico cimitero, - mi pare sia nove ettari, ed è lì dalla fondazione dei primi monasteri - fatto di alberi alti e tombe vecchie, le tombe vengono messe senza ordine apparente, una accanto all'altra, molte sono delle semplici colonne a sezione quadrata e quasi tutte sono di pietra scura, semplice. 
si cammina in un sentiero che va verso il centro del cimitero e i volontari danno candeline da accendere e ficcare lungo la strada, ogni tanto c'è un cartello che dice di fare attenzione a non incendiarsi i pantaloni. c'è silenzio, nonostante l'aria festosa siamo in giappone e tutto è molto composto. il magone sale subito. non so perchè ma in questa terra non sento pace, ma sempre uno strisciante senso di pericolo che mi rende leggermente inquieta e mi spinge a mostrare la stessa compostezza dei giapponesi. in fondo al sentiero c'è il tempio, e assisto alla prima cerimonia buddhista della mia vita. i monaci arrivano al tempio solo quando le persone sono già in attesa, parte della cerimonia è cantare per accoglierli e mentre si sistemano. non sono moltissimi, saranno una decina e la cerimonia consiste in un canto continuo, ripetitivo, pacato, profondo e lento (nei ritmi ossessivi la chiave dei) mentre lo shifu seduto all'altare immagino accenda incensi. un monaco si addormenta. i più giovani sembrano molto onorati. dev'essere una cerimonia molto importante, non capisco quanto sentita.
il rito prevede che i monaci escano per primi dal tempio, in fila per due, preceduti da due guardie con la spada, e nel buio del cimitero, sulla strada di pietra, nel silenzio - quasi silenzio - delle persone intorno si sentono i sandali di legno battere e le spade rigare la terra.  

mercoledì 13 settembre 2023

osaka è la napoli del giappone

e noi ci s'arriva tristi, e non ci sono cristi e madonne che tengano, signori miei. ma lei è allegra. allegra e un po' sfatta, come napoli del resto. 
come tutti i posti dove ci passa solo tanta vita, e non c'è museo, e non c'è il tempio da vedere, o attrazione codificata, vado in ansia di non sapermelo godere. ma stavolta mi pare di non farmi bloccare dalla solita ansia, credo risultato a pari merito di una ferrea volontà, del desiderio di essere meglio e della musica giapponese tradizionale che suonano sul fiume. in un casino irreale da non muoversi sulle sponde, tre signori in kimono - che mi voglio immaginare di lavoro facciano l'assicuratore, il farmacista e l'ortolano, qualche sogno lasciamelo - con voci profonde e tremolanti cantano e cantano e la gente balla, un sacco di gente, kimonata anche lei, oppure no, turisti tirati in mezzo in questo ballo ripetitivo fatto di passetti e battute di mano. tutti sorridenti, non coi sorrisi dello spasimo e dell'eccesso, addirittura stonano con la fama del posto, hanno il sorriso del divertimento, un sorriso sereno. ecco questo è importante, se nessuno mi avesse detto niente sarei andata a ballare? sai che penso di sì, come son fatta male, vedi.
il posto del casino si chiama dotombori, ed è in effetti famoso per il casino. c'è una ruota panoramica un po' oblunga sulla quale non mi verrebbe mai voglia di salire, con delle cabine che sembrano un po' supposte, gente che vende delle polpette di polipo - che non sono sto che, sono un po' moscine - e mille baracchini che vendono cagate e robettine da mangiare che sfamano e non nutrono. qui vedo i primi bordelli che si capisce bene che sono bordelli e i primi bordelli maschili in assoluto della mia vita. hanno degli schermi fuori che pubblicizzano i ragazzi che ci lavorano: il più richiesto del mese di luglio, giugno, maggio e, umiliazione, quelli che si sono classificati secondi e terzi, con tanto di video. non riesco a prenderli mica sul serio, chissà forse sono troppo patinati. o semplicemente il mio occhio occidentale non riesce a vedere né in questi ragazzini implumi né nelle ragazzine vestite da manga degli oggetti sessuali, mi sembra tutto un gioco troppo organizzato pure, poco diverso dalle sale dove con duecento yen puoi giocare una manche a supermario. la ragione vede lo sfruttamento - che do per scontato che ci sia e dovrei essere più aperta, ok, e pensare addirittura che potrebbe non esserci, ma non ci sono cazzi, non ho trovato ancora chi mi convince che se c'è di mezzo il corpo non c'è di mezzo anche uno sbilanciamento di potere, e quindi nel caso della prostituzione, un atto coercitivo - e il sentimento langue, non capisce, non riesce ad attivare l'orrore, resta in superficie. 
 

martedì 12 settembre 2023

incominciamo a risalire questo pesciolone che è il giappone, prima di tutto naoshima

che è un'isola del mare di seto, uno dei mari interni del giappone, un po' a nord di hiroshima. mitsubishi l'ha utilizzata per anni come raffineria, e non ha mica smesso, ma nell'altra metà dell'isola, la parte dell'isola senza escavatori, nei due piccolissimi villaggi nei quali avranno abitato pescatori e lavoratori di mitsubishi o che so io - non farti illusioni, tutta questa prolalia la faccio a braccio, per me e per te Zero, ha un altro scopo, mica è una lonely, scordati che vado a verificare cose -  ha piazzato l'arte. l'arte moderna, quella incomprensibile che non dice ma indica. e cinque monet dei quali non mi so figurare assolutamente il valore economico, se non con la parola tanto. tanto. tanto, come diceva quello. una ninfea enorme lillà da mettersi a piangere, entro nello spazio quadrato illuminato da luce naturale e sono sola nella stanza. cinque secondi sola con monet. niente a che vedere col fitto del musée d'orsay, se la batte forse con l'orangerie, ma mentre lì sei costretta a girarti per vedere le quattro opere che decorano un ovale - sei immersa, così si dice, no? - qui la ninfea è un totem, tu e lei, lo spazio è la sua profondità, ci cadi dentro con tutti sensi, ti resta da guardare e respirare, e basta. anche le altre quattro più piccole molto notevoli, ce n'erano due dell'ultimo periodo, commoventi, con tutti i segni della cecità, dell'abitudine, dell'ostinazione. faccio sempre fatica a vedere urgenza nell'opera di monet: diciamocelo, un fissato che ha dipinto sostanzialmente un solo soggetto, ma cazzo, quest'ossessione dev'essere stata un bel po' urgente. sì, monet è uno dei casi in cui la mia testa dice no e la pancia risponde non rompere i coglioni. giusto per la cronaca, per quasi tutte le altre opere dell'isola, comprese le strutture di tadao ando, non sono riuscita ad entrare in risonanza, ammetto, le ho viste con la testa. i musei propriamente intesi sono due o tre, poi ci sono le casette abbandonate che sono state trasformate in opere d'arte, poi il bagno pubblico - bisogna che ti racconti dei bagni, ma è più trasversale - poi la galleria più piccola del mondo. un'operazione per farsi notare, della serie andiamo sul libro dei guinnes, insieme al ristorante più piccolo del mondo e alla birreria più piccola del mondo! ma era tutta tappezzata di accendini, una di quelle cose minute, che mi spingono sul simbolico e alla fine mi lasciano un ricordo, una senso. quella notte tra l'altro ho scoperto che nelle case giapponesi tradizionali, quelle con i divisori di carta di riso mi trovo proprio bene, ma mi inquietano. quella poi era grandissima, immersa in un buio sonoro, stavo all'erta, ed era bellissima, eh, aveva addirittura il bagno tradizionale, diviso in due ambienti e l'ambiente che serve per farsi il bagno ancora diviso in due, una parte serve a lavarsi eppoi ci si dovrebbe immergere nella vasca piena di acqua calda, non lo sapevo e non è andata così.
così a spanne mi sembra che come operazione di green washing sia pensata da dio, porta turismo - naoshima è in tutte le guide - porta prestigio, porta perfino biglietti di ingresso, e il giorno è piacevole. ancora forse non è così tanto frequentata da essere perfettamente oliata per i turisti, mancano incredibilmente i ristoranti, forse perché chi va dorme direttamente nel resort collegato ai musei, ma questa polvere e questi sassi sconnessi mi piacciono, e anche se è un'illusione mi fanno sentire dentro a qualcosa di autentico, e mi danno la speranza che deriva dalle cose che possono migliorare. Tornassi indietro, ci sarei arrivata di sera e dormito due notti, tagliando un pomeriggio a hiroshima, si poteva fare il bagno, si poteva prendere il sole.    

lunedì 11 settembre 2023

Hiroshima è una città piccola

anche se si tratta di un milione di persone, sembra piccola. piccole strade, piccoli palazzi alti, piccoli posti per mangiare, piccolo mercato. grande memoriale. un parco verde acceso, e sarà stato l'umido di agosto, l'assurda pace del luogo, il mio particolare stato d'animo da fine di mondo, ma il verde aveva qualcosa di ultraterreno e, missione compiuta, è il verde della pace. 

Però, lo dico subito, sapendo che non servirà, non andare a vedere il museo, lo scheletro del palazzo del commercio è l'immagine che ti basta per avere presente cosa è successo in quel luogo, sai già tutto. del resto non c'è nessuno che non sappia già quel che si deve sapere, e non penso proprio che nessuno abbia bisogno dei dettagli. forse qualche negazionista - ma ce ne saranno ancora? - ecco al negazionista si può infliggere la pena dei dettagli, sapendo che a poco serve. forse solo ad alimentare un'immaginazione già truce. per gli altri, tenersi alla larga. i nostri occhi e le nostre anime non hanno bisogno di quel peso malevolo, appiccicoso.

Insomma hiroshima è brutta. le strade del centro, che forse è il centro sbagliato, che forse è il centro degradato e povero, non so, ma sembra essere centro, le strade del centro, dico, quelle dietro al posto curato con i negozi green e le gioiellerie, hanno quella cosa che trovo nelle città che devono funzionare, e non importa che siano gradevoli, e mi lascia sempre il languore del desiderio per tutta quella vita che vedo scorrere lì dentro, dentro a quei mille cavi della luce lasciati penzolare tra un palo e l'altro, aggrovigliati senza una regola, ci vedo una necessità di futuro che non conosco e desidero. e penso che nella vecchia e rigida europa li interriamo, li sistemiamo, li tiriamo a lucido. li trattiamo bene, noi, i cavi della luce. non devono essere pericolosi, ché la gente deve sopravvivere e qui invece sono al servizio della vita che procede, e insomma forse se qualcuno ci resta attaccato non importa granché, la gente è tanta e pazienza. eppoi penso che ho preso una cantonata senza fondamento, molto suggestiva ma è una cagata. Il giappone è il paese più vecchio del mondo, la vita avrà certamente un gran valore, e io ragiono come un automa, senza intelligenza. Con la testa piena di tutto questo faccio comunque molte foto molto brutte ai cavi della luce. Che ci dobbiamo fare?

Tornassi indietro avrei dormito a itukushima e sarei stata a hiroshima un giorno in meno. Itukushima, che è il nome dell'isola che ospita il santuario di miyajima, è un posto selvaggio e pieno di turisti insieme, e un posto che hai visto in mille foto, è il santuario con il grande tori rosso che spunta dal mare. Gli dei entrano al santuario passando dall'acqua, i turisti aspettano la bassa marea per andare alla base del tori a piedi.

Il tori, peraltro, non è rosso manco per il cazzo, è arancione, e la bassa marea non c'era. Per la bassa marea non c'è molto da fare e neanche per il colore, qualcosa che chiamerei arancione lì si fa chiamare rosso. e va bene così, è il fair play del viaggiatore, si accetta quello che si trova.

L'isola è un posto stupendo, come saranno quasi tutti i posti in cui insieme si trovano santuari shinto e templi buddhisti. Se non avessi paura di passare per la solita quarantenne in cerca della propria spiritualità direi che si sente una certa energia.

E qui infatti incomincio a vedere le prime ninfee alte della mia vita, una delle cose che preferirò del giappone. Le coltivano in vaso, e meno spesso nei laghetti, in modo disordinato, senza il rigore che caratterizza i giardini, mi incutono un certo timore e non avrei mai il coraggio di mettere le mani in quell'acqua. Mi si parano davanti su una terrazza di un tempio, le prendo come l'incarnazione del wabi sabi, almeno per come l'ho preso io, accettiamo che sia bello ciò che è, che ci dia pace com'è e di migliorarlo solo un po' alla volta. Lo accettiamo? Non lo so, forse non fino in fondo, lunga sarà la via per la saggezza. E come ti sbagli.

lunedì 30 marzo 2020

prima lezione di zumba

su youtube. nell'ovvio senso che mi trovo dalla parte dello schermo a decidere se devo copiare la ballerina venezuelana nel suo verso o a specchio. secondo te? poi alla fine faccio un po' in un modo e un po' in un altro e viene fuori un gran casino. che vergogna di me stessa. giammai l'avrei fatto vent'anni fa. negli anni dorati della mia inutile e perfetta dirittura morale. ecco questa cosa puzza d'adulto, come puzza la corruzione del costume: accettare la caduta di stile per perdere qualche etto, nascosta dalla tenda ecrù della propria casa, lontana dalla vista e per questo priva perfino dell'onestà del desiderio di tornare magra. alla mia età.  
questa quarantena ha portato tutti noi a delle aspettative da quarantena. non zero aspettative, niente zen e tute scolorite. Buoni propositi da deludere, sensi della vita da comprendere, tentativi di cogliere l'occasione per trovare il coraggio di prendere decisioni, pugni stretti nella speranza di ricredersi, volontà di dimostrare che va bene, molto bene, anzi forse meglio. non abbiamo azzerato mica niente. siamo sempre tossici e smaniosi e bisognosi di confermare noi stessi. 

venerdì 7 aprile 2017

e quando esce il sole

senza nemmeno una nuvola, senza ombra, le case bianche lo riflettono e ci fanno socchiudere gli occhi. troppa luce e troppo calore in una volta, non siamo abituati più. è il manifesto del benessere ma non ci fa stare bene, scopre il nostro habitat fatto di ombra artificiale. siamo a disagio nel non saperci godere il beneficio e insieme speriamo che non passi mai, speranzosi di imparare come fare a sfruttarlo. ma ci manca il fiato per farlo. esanimi e inerti. la stessa differenza che passa tra un ramo caduto e una lucertola.

giovedì 23 marzo 2017

tutti gli anni ormai faccio

un trasloco. stavolta solo di ufficio, verso un posto un po' più brutto senza cambiare lavoro e sperando che non sia il primo passo per cambiare anche datore di lavoro. vediamo i lati positivi, forse lì a dieta mi ci metto, sicuramente qualcosa di soldi finisce che si risparmia, avrò più voglia di godermi il centro e - speriamo ma chi lo sa se ci si riesce - si esce prima al pomeriggio. vediamo. in ogni caso la palla lucida e dorata sopra il duomo che si vede dall'ufficio che il primo giorno qui mi strappò un sorriso. basta.

mercoledì 22 marzo 2017

è uscito sul il post

un articolo sulle scarpe di emmanuel carrere. che dice che ha queste scarpe molto comode e consumante che sembrano quelle di un vecchio signore che ha voluto stare comodo in casa. per prima cosa si è d'accordo, che parlar male dei vestiti altrui in genere raccoglie simpatia, ma sono andata a vedere su wikipedia quanti anni ha emmanuel carrere, e scopro che è del '57, cioè che ha la stessa età del mio di padre. e cioè più o meno la stessa età di baricco e veronesi per dire, e veronesi sono andata a vederlo a teatro qualche mese fa e era un bell'uomo ancora, una faccia interessante e non certo, come avrebbero detto a bologna un omarell, e nemmeno mio padre è un omarell, ma io lo vedo a casa vedo che ha voglia di riposarsi e di prendere il sole sulla sdraio in giardino e che in fondo ha quasi sessantanni, mancano pochi mesi, e quindi è al termine della sua vita lavorativa e che uno a quell'età abbia voglia di stare comodo mi sembra del tutto naturale e anche se mi sembra molto incoraggiante e perfino eccitante l'aspettativa che l'estensore dell'articolo - non si sa quasi mai chi è l'autore di un articolo de il post e mi sembra che non fosse firmato quello in particolare - ha. dicevo che mi sembra incoraggiante che uno si aspetti tutta questa figaggine e vitalità da uno scrittore sulla sessantina e che queste aspettative non siano riservate al solo pattugliame di scrittori giovani. mi sembra incoraggiante ecco che ci si aspetti dalla vecchiaia questo, significa che siamo ancora in tempo tutti, o almeno io che ha fatto i trentadue ora. forse è anche triste che si sia persa così facilmente quell'età che è la maturità o insomma che i sessanta siano i nuovi quaranta che sono i nuovi venti e i trenta no, i trenta sono i trenta perchè non ti puoi occupare dell'emotività o della presentazione ma dell'aspetto quantitativo figli e lavoro, ce li hai? il tuo compagno è stabile? sei in grado di costruire? poi quello che attiene al tipo di scarpe che ti metti è in definitiva un affare che riguarda il tuo gusto. insomma che da un sessantenne che scrive cose conturbanti ci si aspetti un paio di scarpe interessanti più che comode io lo capisco. ma poi guardo la biologia trimphans sul divano di casa dei miei e immagino che pure emmanuel carrere la domenica pomeriggio dorma davanti al motomondiale.  

venerdì 27 gennaio 2017

venerdì 20 gennaio 2017

quanto è lontana la collaborazione e l'aiuto che

i maggiori danno ai minori alla necessità di assistenza?

giovedì 19 gennaio 2017

sono fuoritempo

come un debito che devi ancora contrarre.

venerdì 13 gennaio 2017

è uscito il disco nuovo dei baustelle

e ancora non l'ho sentito, poi lo ascolto, non sono io l'appassionata di musica in famiglia. ma le foto le ho viste, e sono invecchiati, in modo diverso tra loro, dimagriti e affilati bianconi e bastreghi, ingrassato brasini. è un modo preciso il modo in cui si invecchia, rispecchia una decisione e l'essere ostaggio della propria idea di sè. che qualche volta è nessuna - ma in genere chi si mette su un palco ha una propria idea di sè e in gran parte dei casi la sta disperatamente cercando.

mercoledì 11 gennaio 2017

la lingua geniale, il libro geniale

ne parlano bene tutti e prima di parlarne dovrei leggerlo, sono sinceramente curiosa anche perchè a pelle e a prescindere mi respinge. soprattutto il tentativo di rendere appetitoso qualcosa che appetitosa non è. è bellissima, è profonda, è oscura, è faticosa e oggettivamente polverosa. è così, ha tremila anni, è polverosa. parla di cose desuete per la maggior parte del tempo, racconta sentimenti simili ai miei e ai tuoi - ma non uguali - che si originano da gesti e credenze distanti ormai dalla nostra vita. è la nostra radice, fatta della nostra stessa materia ma ficcata ben lontano, sottoterra. è lontana, difficile e polverosa perciò il tentativo di renderlo glamour, lo studio delle lingue morte, mi sembra tradisca il gesto fin dalla partenza. il gesto di un ragazzino che passa i pomeriggi a tradurre maluccio autori di media difficoltà innamorandosi della lingua a poco a poco. una scelta volontariamente contro tempo. sono un'antica romantica e per me i grandi amori implicano una sudore e sofferenza e, spesso, non sono ricambiati. il mio non lo è stato e mi resta la cultura del greco non la sua conoscenza. dopo oltre un decennio dal liceo svanisce il ricordo consapevole resta il senso di quella cultura lì e la fatica fatta per conoscerne appena un po', appena quel tanto per evitare una disastrosa insufficienza, ed in ogni caso, al di là di inutili masochismi, mai avrei voluto che arrivasse qualcuno a farmelo amare facilmente, basando la sua argomentazione sullo strano e ricco esistere dell'ottativo o sull'unicitò del duale. la difficoltà,  il suo elitarismo sono parte del fascino e del vantaggio di aver studiato o di studiare le lingue morte. i phamplet elogiativi non riescono a mostrarne l'ombra.

(tranne questo, eh. non l'ho letto vedremo).