mercoledì 11 gennaio 2017

la lingua geniale, il libro geniale

ne parlano bene tutti e prima di parlarne dovrei leggerlo, sono sinceramente curiosa anche perchè a pelle e a prescindere mi respinge. soprattutto il tentativo di rendere appetitoso qualcosa che appetitosa non è. è bellissima, è profonda, è oscura, è faticosa e oggettivamente polverosa. è così, ha tremila anni, è polverosa. parla di cose desuete per la maggior parte del tempo, racconta sentimenti simili ai miei e ai tuoi - ma non uguali - che si originano da gesti e credenze distanti ormai dalla nostra vita. è la nostra radice, fatta della nostra stessa materia ma ficcata ben lontano, sottoterra. è lontana, difficile e polverosa perciò il tentativo di renderlo glamour, lo studio delle lingue morte, mi sembra tradisca il gesto fin dalla partenza. il gesto di un ragazzino che passa i pomeriggi a tradurre maluccio autori di media difficoltà innamorandosi della lingua a poco a poco. una scelta volontariamente contro tempo. sono un'antica romantica e per me i grandi amori implicano una sudore e sofferenza e, spesso, non sono ricambiati. il mio non lo è stato e mi resta la cultura del greco non la sua conoscenza. dopo oltre un decennio dal liceo svanisce il ricordo consapevole resta il senso di quella cultura lì e la fatica fatta per conoscerne appena un po', appena quel tanto per evitare una disastrosa insufficienza, ed in ogni caso, al di là di inutili masochismi, mai avrei voluto che arrivasse qualcuno a farmelo amare facilmente, basando la sua argomentazione sullo strano e ricco esistere dell'ottativo o sull'unicitò del duale. la difficoltà,  il suo elitarismo sono parte del fascino e del vantaggio di aver studiato o di studiare le lingue morte. i phamplet elogiativi non riescono a mostrarne l'ombra.

(tranne questo, eh. non l'ho letto vedremo). 

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