sabato 18 luglio 2009

perusia jazz

non ero mai stata a umbria jazz - essì che due anni fa avevo perfin l'accredito per la stampa, sono una cilatrona, sì - e allora ci sono andata giovedì, a sparare le ultime cartucce di funkyfancazzismo. funziona così: c'è il concertone all'arena santa giuliana, quello che si paga per vederlo o si ascolta a sbafo da dietro il palco, che è ogni anno sempre più pop, eppoi ci sono i jazzisti veri, quelli duri e puri in giro per la città. nei posti dove possono suonare e anche nei posti dove non potrebbero.
il jazzista duro e puro, in fondo, è una contraddizione in termini, un ossimoro con le gote enfiate, perchè il jazz ha una sola regola fondamentale e aurea: fai quello che vuoi, basta che ti piaccia. sicchè nei concerti all'aperto (gratuiti e bellissimi, pieni di energia e di inventiva) se a un signore di colore, di mezz'età, con una tromba in mano e la piena capacità di suonarla, gli gira di mettere in mezzo all'assolo la reprise di billie jean, hit strapop del neo defunto micheal jackson, lo fa, e la cosa funziona. e tu stai lì, e il tuo sdegno scompare, sovrastato dal magico equilibrio tra altissimo e bassissimo. e allora, giovedì pomeriggio ho digerito un kebab sotto il sole dei quaranta gradi e sopra il tappeto di un croner in giacca panna, assieme a una falange di americani e inglesi meno birrati del solito - ancora ora, dopo anni il vero pubblico di uj. giovedì sera due tigri - del rigoroso color ebano e fango del mississippi - si sfidavano dai due estremi del corso di mamma perugia a colpi di urla, confuse nelle forme dall'ondeggiar fuori tempo di centinaia di teste, campionario di tutte architetture di capelli, e chiare chiare come il sole di mezzanotte negli strilli e nelle intenzioni. gente di cui non sai il nome, e non importa. te le ricordi per come sono, e basta.

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