giovedì 11 aprile 2013

via san martino 74

ci sono sopravvissuta benissimo, tre anni e passa, con due terrazze lunghe e strette, dove non uscivo mai - se non di rado d'estate, con a tracolla un peso che mi schiacciava lo sterno. bastava rientrare e non c'era più, gli esseri umani hanno spirito di sopravvivenza che li protegge dal freddo dal dolore e dai contrasti, è evidente. e meccanismi assurdi che ti mettono nella posizione di trovare troppo bella la sera, calda, umida e piena di stelle della pianura; bella di una bellezza troppo altra dall'umore che mi circondava, fuori luogo, non godibile, fuori dal campo delle possibilità. Poi quelli sensibili han già le labbra umide per chiedere se l'obiettivo è la sopravvivenza, ma insomma,  ci si può anche sforzarsi di ammettere che in ogni scelta la componente di sopravvivere ad essa è esiziale, ed anzi è il cerchio bianco attorno al rosso del bersaglio dove si tenta di cogliere il centro. e ci si può anche sforzare di credere che sappia costruire un testo.
ma scrivevo della mia vecchia casa. del suo isterico frigorifero che per qualche mese mi mandava di traverso al domenica sera, perchè pigro e bizzoso ritrovato del'industria moderna smeteva di frigare, e trovavo i sofficini uno attaccato all'altro in un abbraccio mortale circonfuso di brina. del letto senza testata, e invece di comprarla ci avevo ataccato su due grandi fogli di carta di riso, e volavano al vento e non si sono mai staccati. dello studio, scomodissimo, colle pareti dipinte di grigio cemento, m'è servito da ripostiglio, da stanza di sgombro, da tenditoio e soprattutto a niente, a farmi spostare tra le stanze cercando un modo per studiarci dentro senza trovarlo mai.
ci son sopravvissuta bene, tollerando le tapparelle che lasciano filtrare la luce, aggiustando lo sciaquone con le pinze dell'ikea, e ho attaccato uno specchio molto grande, da sola, un pomeriggio di amara perdita e di noia e di languore e facendolo ho sfasciato il muro un bel po' grazie alla mia imperizia e così ho imparato a attaccare i chiodi e mesi dopo, molti, anche trenta, a stuccare i buchi, e accettare il risultato.
il mio momento migliore in quella casa è stato il primo anno, dopo aver imparato a tollerare la nuova vita, il nuovo corso delle cose. è sempre così per me, il mio tratto distintivo pare sia che presto mi annoio di tutto, e così è stato. e così sarà nei secoli dei secoli o nei decenni avvenire. e infatti non ne potevo più di quella cazzo di casa, del lavandino del bagno con poca pressione nei tubi, della lavatrice che non lavava, del negozio di pasta fresca che aveva uno di quei campanelli che ti avvisano dell'ingresso dei clienti e mi svegliava alle sei e rotti, della mamma del padrone di casa che giocava agli esperimenti con la caldaia centralizzata. ma adesso un carta nostalgia, del privato vissuto lì dentro. e del buono che si è preso, poco o tanto che fosse, ha sempre avuto l'aria casalinga, il paese anche era parte del metraggio della casa, la pizzeria, il panaio, la coop son state altre stanze della casa. nessun confine e apparentemente nessuna cautela da prendere. e anche la banca, tutto in quella pania sentimentale che non ti appaga e nemmeno ti frustra. tutto quella cosa che non si lascia per torti, per noia, solo solo per noia..